Le Schede Linguistiche dimostrano la complessità del comportamento verbale dell'essere umano
Quale correlazione esiste tra un minuto, un ministro e un menestrello?
In periodi di degrado culturale come l’attuale l’espressione linguistica e il pensiero che si vuole esprimere non sempre coincidono in modo consapevole. Ne consegue quindi la necessità di saper riconoscere nelle parole d’uso comune la complessità delle varie corrispondenze referenziali, linguistiche, culturali e simboliche che ne determinano il loro valore sociale.
In italiano il sostantivo minuto primo dal latino minutus, connesso al verbo minuĕre, (diminuire) definisce la sessantesima parte di un’ora e con minuto secondo s’intende una misura ancora più piccola. Il tal modo si costruisce una relazione di valori referenziali alla base della valutazione dei valori simbolici costituenti la nostra cultura.
L’aggettivo relativo alla grandezza, definibile in italiano grande, è presente in diverse lingue. In italiano abbiamo con riferimento alla cultura greca megalopoli, composto dal greco µεγας e πολις per indicare una grande città e maragià dal sanscrito, per definire un grande re.
Il comparativo latino magis da magnus (grande) definiva una grandezza superiore e da magis deriva appunto il sostantivo magister, il maestro da intendersi come superiore, mentre con minister, da minus (il meno rispetto al più) si definiva l’inferiore, ossia il comune servitore.
Per comprendere come mai dalla condizione di servitore il minister si sia trasformato socialmente nell’italiano ministro occorre meditare sul fatto che già in latino il verbo administrare indicava l’esecuzione di quanto il magister aveva ordinato, un agire che ieri, come oggi, permette un’ampia libertà d’azione con la possibilità di trasformare l’amministrazione della cosa pubblica in un governo d’interesse privato.
La presunzione come condizione sociale, sorretta dalla vanità, si è sempre servita delle parole per nobilitare ogni mediocre condizione creando un fittizio valore simbolico della
parola rispetto al suo preciso riferimento sociale. Già l’aggettivo ministerialis, con riferimento alla funzione del minister, designava in periodo romano, una certa dignità di servizio e ministeriales erano così nominati gli ufficiali imperiali.
Col passar del tempo ministerium che designava la funzione servile del minister si è trasformato nell’odierno ministero.
Nel medioevo lo stesso aggettivo ministerialis, per diverse condizioni culturali, si trasforma in menestrello differenziando in tal modo l’artista, il musicista o il cantore dalla folta
schiera di giullari e di cortigiani presenti, oggi come ieri, in ogni corte. Variano le condizioni culturali e per tale cambiamento l’odierno ministro, dimentico della sua origine, tende più a farsi servire che a servire. Il buon senso popolare ha trasformato poi la parola ministerium tramite il tardo latino misterium in mestiere, significando in tal modo come sia possibile guadagnarsi di che vivere in queste nostre moderne società.
Pur nelle mutate condizioni culturali le parole mantengono sempre uno stretto legame semantico con la loro origine e Magister, per esempio, si è trasformato nell’inglese master, serbando nel tempo, come gran parte delle parole inglesi di origine latina, una propria aderenza culturale. E il padrone di casa nella formulazione inglese ne rappresenta tutta la possanza.
Master of the house
Nella degradata forma di mister, ossia un tal dei tali, in Inghilterra si concede consolazione a chi non abbia la possibilità di fregiarsi di un titolo nobiliare. Nel seguente esempio, al femminile, appare evidente il potere che la parola ancora conserva nel definire la padrone di casa:
Mistress of the household
Mistress, per evidente influsso della corrispondente parola in veste francese, maȋtresse (amante), si è degradata ed indica ora quel particolare rapporto perdurante tra un uomo ed una donna non consacrato dal talamo nuziale. In seguito poi, per inesorabile consunzione linguistica, anche mistress si è trasformata in miss per definire il massimo della bellezza femminile. Ed è così che per evidenti debolezze del genere umano, traspare l’origine stessa della parola.
Miss Mondo
La storia delle parole, identificandosi con la storia della cultura, ci permette di comprendere gli attuali comportamenti verbali e culturali del genere umano senza troppe illusioni.
Quale correlazione esiste tra l’anima, un anemone e un animale?
Nella normale espressione umana si constata sovente una carente conoscenza del significato della singola parola a causa delle limitate competenze linguistiche presenti nella nostra attuale cultura. Se si considera poi che alla stessa parola è possibile aggiungervi una particolare significazione culturale si comprenderà l’influenza nel sociale delle varie parole.
Il latino anima e il greco άνεµος (anemos) indicavano, entrambe le parole, il vento. E il sostantivo italiano anemone, nome con cui si designano alcune piante erbacee perenni coltivate a scopo ornamentale, risale al greco ανεµώνη, parola connessa appunto con άνεµος per la credenza popolare che tale pianta prediliga, per la propria crescita, luoghi ventosi.
Nel corso dei secoli la parola latina anima, intesa inizialmente come perturbazione fisica, indicò tutto ciò che alita per assumere infine il significato di respiro, fonte di vita. Dopo la caduta dell’Impero romano l’anima si impregnò di un proprio valore religioso designante la parte immortale dell’essere umano. Per tale particolare condizione umana si sosterrà che l’animale, pur essendo un essere animato, è un essere privo di anima: non esiste infatti alcun paradiso per gli animali.
Simili contrasti linguistici per diversa condizione culturale appaiono in tutte le lingue. In Inghilterra a public school è definita a private school in quanto per l’iscrizione in collegi famosi come Eton o Harrow occorre pagare una retta, comprendente, oltre allo studio, il vitto e l’alloggio. In Scozia, al contrario, con public school deve intendersi una scuola sovvenzionata dallo stato.
Per la stessa parola, al variare delle diverse culture, possono dunque essere attribuite varie significazioni. Il verbo abusare dal latino ăbūti designa in italiano un modo di operare illecito. In francese lo stesso verbo si ritrova nella seguente espressione:
Si je ne m’abuse
che pone in dubbio i propri convincimenti. Il corrispondente linguistico italiano è:
Se non mi sbaglio.
In inglese poi con:
He abuses his wife
si designa una violenza non semplicemente verbale.
Con l’emergere nel tempo di nuove culture appaiono anche varie ideologie tendenti a giustificare la necessità della guerra definendola santa: una dimostrazione di crimini di lesa umanità che rappresenta una delle maggiori idiozie di cui abbia dato prova il genere umano nella sua breve storia evolutiva. Ai giorni nostri l’odierna belligeranza, per diversità culturale, è connotata democratica, guerra indispensabile quindi per il mantenimento della pace.
Comportamenti umani dove l’ottusità personale è sostenuta da particolari interessi di parte.
Quale correlazione esiste tra un’analogia, un’analisi e un anatema?
Il lessico di una lingua rappresenta un archivio di varie culture e il confronto tra le diverse parole, giunte anche da un lontano passato, consente di comprendere le singolari consistenze culturali che ci tramandano. Le tre parole italiane analogia, analisi e anatema, per esempio, hanno una comune origine greca. Con αναλογία si definiva una corrispondenza, con ανáλυσις lo sciogliersi di un tutto e ανáθεµα aveva come concreto riferimento un’offerta religiosa. Parole composte dal prefisso greco ανá- (sopra) e da una diversa base verbale.
L’italiano analogia - così come l’inglese analogy o il francese analogie - rappresenta una relazione di affinità. Nella sua evoluzione culturale la parola ha mantenuto una propria aderenza semantica al significato iniziale. In biologia, per esempio, quando si definisce una funzione analoga: il volare di una mosca o di un uccello, pur con ‘ali’ diverse.
Con analisi s’intende ancor oggi un metodo consistente nello scomporre un tutto per analizzarlo nelle sue singole parti. La parola è composta dal prefisso ana- e dal verbo lyein indicante uno scioglimento.
Contrariamente alle due precedenti parole, con anatema s’intende ora, in greco moderno come pure in italiano, una maledizione. Tale significato appare pure, implicitamente, nell’uso della stessa parola da parte della Chiesa Cattolica con riferimento alla scomunica. Nel suo valore linguistico anatema designava il porre (ana-tithémai) su di un altare un’offerta votiva rendendola in tal modo sacra. Il sorgere del suo aspetto negativo nasce dal tentativo di ricuperare tale offerta con la profanazione del tempio.
Poiché il significato della singola parola è sempre strettamente connesso alle varie condizioni culturali del presente la parola anathema nella cultura inglese definisce, non un’astratta maledizione, ma l’avversione per qualcuno o qualcosa. Nell’esempio che segue sono certe idee politiche che non possono essere condivise:
His political views are anathema to me.
Nella loro evoluzione storica le parole dimostrano quanto determinante sia la cultura del momento nel predisporre il comportamento sociale dell’essere umano. Infatti l’uomo passivamente acculturato, privo quindi di un proprio senso critico, crederà nella propria cultura assoggettandosi fedelmente ai suoi dettami.
Quale correlazione linguistica esiste tra un decano, il denaro e una derrata?
Poiché la reciproca comprensione umana si attua meglio fra persone della stessa cultura è utile soffermarsi sulla variabile culturale delle parole in uso nel quotidiano interscambio verbale. E con l’analisi comparativa si scopre quanto l’idea della decina, dieci sono appunto le dita delle mani, sia presente nell’espressione di ogni nostro pensiero.
Con Decano, per esempio, si designa una persona che per anzianità occupa il primo posto tra coloro che esercitano certe professioni o ricoprono importanti incarichi. Deriva dalla parola latina dĕcānus che indicava il decurione, militare al quale era affidato il comando di dieci soldati. Sempre da dĕcĕm ha origine il latino dĕnārius, da cui l’italiano denaro, con riferimento alla valuta del tempo, una moneta d’argento dal valore iniziale di dieci assi.
Con derrata, nell’italiano corrente, s’intende un prodotto della terra, di tipo alimentare, soggetto alla commercializzazione. Di origine latina designava una piccola quantità di merce che si poteva comprare per l’equivalente di un denaro. La parola ci è giunta tramite il francese denrée, contrazione dal 1606 di dénerée del XII secolo.
Il riferimento a dieci come condizione naturale appare pure in decimare, pratica militare romana che consisteva nell’esecuzione di un decimo dei prigionieri di guerra mediante la decapitazione. Simile punizione era applicata anche ai propri soldati accusati di indegnità militare, pratica sostituita in tempi più recenti, per progressivo sviluppo tecnologico, dalla fucilazione. Con decima, in base ad antiche convenzioni, s’intendeva la decima parte del prodotto del fondo che spettava al locatore. Pratica che nella Bibbia è definita la decima parte di tutto ciò che passa sotto la verga del pastore, armento o gregge da consacrare simbolicamente al Signore. (Levitico, 27-32).
Nella denominazione dei seguenti mesi, settembre, ottobre, novembre e dicembre si deduce che in tempi meno recenti l’anno solare doveva essere suddiviso in dieci parti. Infatti prima dell’avvento dei Cesari al calendario della Roma antica mancavano nel computo gennaio e febbraio e marzo era il primo mese dell’anno.
Altri numeri, altre storie. Con il numero sette la cultura latina indicava il nord come settentrione con riferimento ai sette triones: costellazione comprendente l’Orsa Maggione e l’Orsa minore viste come carro al quale erano aggiogati sette triones, buoi assoggettati all’aratro.
Intendere la variabile culturale insita nelle varie parole significa poter esprimere il proprio pensiero con maggior avvedutezza evitando di ripetere per le stesse cose le stesse parole senza comprenderle.
Quale correlazione esiste tra uno sponsor, una sposa ed una risposta?
Ogni parola ingloba sia un aspetto linguistico che ne determina il significato, sia un aspetto culturale che ne rappresenta la significazione, da qui la necessità per una migliore comprensione umana di analizzare il valore delle varie parole in tutta la loro estensione semantica.
La parola sponsor, dal verbo latino spondĕre (promettere), definiva nella cultura latina il mallevadore, ossia il garante o il padrino che nei vari affari, a carattere più o meno pecuniario, si impegnava per il buon esito dell’accordo. Secondo il diritto romano dell’epoca ogni promessa verbale doveva essere sorretta e convalidata da uno ‘sponsor’.
Per un padre spondĕre significava promettere la propria figlia in sposa e sponsa indicava appunto la giovane ‘promessa’. Tale solenne promessa, con risvolti anche giuridici, rappresentava un forte impegno sociale. Non può dunque stupire il fatto che si fosse creato un verbo per indicare, in opposizione a spondĕre, la reciprocità della promessa. Questo verbo latino, re-spondĕre indicava l’impegno di rimando, ossia il riconoscimento della reciprocità della promessa per entrambe le parti. Nel XVII secolo sponsor appare in inglese nell’accezione primaria di godfather (padrino) e in seguito nella duplice consistenza di garante e di protettore. Per successivo ampliamento semantico il termine appare in italiano come sponsorizzazione (tramite il verbo francese sponsoriser), una particolare garanzia consistente, normalmente, in un’elargizione di denaro.
Le parole tendono, col passar del tempo, a modificare la propria significazione in relazione alle condizioni culturali del momento e così il campo semantico di respondēre si amplia con particolare riferimento all’obbligo di ‘rispondere’ alla richiesta di comparire davanti ad un tribunale.
Nel 1066 il normanno Guglielmo il Conquistatore, convertitosi alla cultura francese, invade il territorio inglese e sconfigge ad Hastings il re inglese Harold II (1022-1066). La conseguenza fu che per tre secoli consecutivi nell’ordinamento giudiziario inglese s’impose il francese come lingua ufficiale dei conquistatori nei confronti dei sudditi sassoni. Solamente con lo Statute of Pleading del 1362 fu riconosciuto l’inglese come lingua unica utilizzabile nel procedimento giudiziario.
In Inghilterra per il comune uso di due lingue, il francese parlato dalla nobiltà normanna e l’inglese dal popolo sassone, alla parola di origine germanica answer (risposta, da swaru, solenne affermazione connessa al verbo swerian da cui l’inglese moderno swear, giurare) si affianca la parola francese response di origine latina.
In francese antico la response en cours definiva la prerogativa del nobile per nascita a sedere in una corte giudiziaria. La seguente citazione di Antoine Loysel (1536-1617) che appare nelle Institutes Coutumières del 1607 racconta che per un comune popolano l’infrazione della legge poteva essere punita anche con la vita, mentre il nobile in simili circostanze, rischiava di perdere l’onore e, conseguentemente, il privilegio di appartenenza alla corte di giustizia.
Qui di seguito il testo originale che illustra la diversità di trattamento giudiziario del nobile rispetto al ‘villano’.
Où le villain predroit la vie, ou un membre de son corps, le noble perdra l’honneur et response en cours
Col passar del tempo le parole mutano i loro significati e le culture si evolvono, ma certe disparità sociali fra chi esercita il potere e chi invece questo potere lo subisce, permangono a dimostrazione di come, anche ai giorni nostri, le condanne da parte della giustizia umana, siano estremamente sensibile al rango sociale di appartenenza del colpevole.
A mo’ di consolazione si assicura però che in futuro la superiore giustizia divina pareggerà i conti ponendo così rimedio ad ogni possibile errore umano.
Quale correlazione esiste tra un panino farcito, un infarto e una farsa?
L’analisi storica, linguistica e culturale del lessico di una lingua, permette di comprendere l’attuale comportamento verbale dell’essere umano in tutta la sua evoluzione culturale.
Il latino farcīre significava propriamente conficcare ed era usato in senso lato in diversi costrutti per indicare un’immissione forzata. In cucina, per esempio, la farsa nella sua concretezza di ‘carne tritata’ serviva per rendere più appetibile un coniglio. E così per un panino farcito. Con il prefisso in- il verbo farcīre rafforza l’idea dell’intasamento ed il sostantivo italiano infarto (dal latino infarctus) denota un tale inconveniente.
Con la caduta dell’impero romano, iniziatasi nel V secolo della nostra era, perdeva vigore il teatro classico, ma ancor viva ed operante rimaneva, all’interno della Chiesa e per tutto il medioevo, la rappresentazione sacra. Dalle prime edicole, specie di vetrinette con attori umani immobili che rappresentavano episodi di tradizione biblica ai moderni presepi con figurine in terracotta, l’immagine, ancor più della parola, ha contribuito a creare un esteso coinvolgimento emotivo di tutta la popolazione. Poiché l’analfabetismo era una comune condizione sociale la rappresentazione teatrale si è trasformata in un facile espediente comunicativo di grande effetto.
Fin dai primi anni del primo millennio appaiono forme di rappresentazioni teatrali popolari che dall’interno della chiesa si estendevano al sagrato con lo scopo di divulgare le verità di fede necessarie per la salvezza dell’anima, dalla Resurrezione di Gesù Cristo alla Trinità. Rappresentazioni sacre definite Misteri anche perché non sempre chiaramente comprese dai più.
In Inghilterra nel 1375, appare il Pageant Wagon, una specie di palcoscenico vagante su di un carro in grado di rappresentare, nel periodo estivo, spettacoli teatrali nei villaggi viciniori.
Dalle tematiche bibliche si è passato poi, per naturale disposizione umana, a rappresentazioni più mondane di comune spensieratezza. Appare allora la farsa, un intermezzo gioioso e spensierato nella seriosa rappresentazione teatrale del momento, un intermezzo non atto allo sviluppo di una maggiore raffinatezza intellettuale, ma capace di promuovere un sano equilibrio di comune spensieratezza. Ed è così che la ‘farsa’ da ingrediente culinario si è trasformata in una variante teatrale.
Occorre rammentare, per inciso, che la farsa del passato, oltre ad essere volgarmente spassosa, rappresentava pure un momento di originalità creativa poiché gli attori non sempre si attenevano scrupolosamente a quanto scritto nel copione. Originalità che è apprezzata nell’odierno aggettivo tedesco skurril (dal latino scurra, buffone) designante, contrariamente all’italiano scurrile, quanto di spiritoso e di brioso vi possa essere in tale rappresentazione teatrale. E in tedesco nel definire un uomo skurriler si esprime culturalmente un giudizio positivo.
Quale correlazione esiste tra un bacillo, un virus e un imbecille?
Si tratta indubbiamente di tre forme di vita assai diffuse nel nostro pianeta, difficilmente estinguibili a causa della forte capacità di proliferazione che posseggono.
La parola latina virus, risalente ad una radice indoeuropea vis, indicava velenosità. Con tale parola si definisce ora un agente patogeno microscopico di forma rotondeggiante capace di riprodursi in una cellula ospite. Nell’informatica rappresenta un’istruzioni destinata a danneggiare i dati memorizzati in un computer.
Nel 1888 appare in italiano la parola bacillo corrispondente all’inglese bacillus, al francese bacille, al tedesco bazillus, allo spagnolo bacilo per definire un tipo di microbo patogeno unicellulare che al microscopio presenta la forma di un bastoncino. L’origine della parola risale al latino băcillum, piccolo bastone, diminutivo di baculum, bastone inteso nella sua principale accezione di appoggio nel camminare.
L’aggettivo latino imbēcillus definiva una consistenza fiacca, priva di vigore ed inefficace, difetti applicabili sia agli uomini, sia alle cose: l’origine della parola risale a baculum, bastone con prefisso in- indicante la negazione. Un classico esempio ciceroniano appare in De Senectute (11-35) laddove si afferma che Multi sunt imbecilli senes … ovvero che esistono molte persone anziane malferme se privi del sostegno del bastone.
Nell’uso moderno l’italiano imbecille si è degradato con riferimento più alle facoltà intellettuali individuali che fisiche sottolineando in tal modo un essere debole e fiacco, impressionabile quindi più emotivamente che razionalmente: un essere privo di una sua propria indipendenza intellettuale.
Occorre rammentare che il bastone nella storia del genere umano non ha solamente sostenuto la vecchiaia, ma si è dimostrato pure un efficace strumento nel sostenere i vari poteri. La parola italiana scettro, per esempio, simbolo del potere monarchico, deriva dal greco σκηπροη che in tale lingua definisce concretamente un solido bastone. Anche il tedesco Stab (bastone), corrispondente nella forma e nella sostanza all’inglese staff, dimostra in Marschallstab il potere della persona che lo detiene, ossia il Maresciallo. E per la corretta conduzione del gregge umano il pastorale si è dimostrato un mezzo assai efficace a sostegno della parola.
Comprendere il valore delle parole nella loro diretta utilizzazione sociale permette all’essere umano di vivere un’esistenza terrestre intellettualmente assai più libera ed indipendente.
Quale correlazione esiste tra un pontefice, un ponte ed un piede?
Il significato della singola parola manifesta, nella sua quotidiana espressione orale, una notevole diversità di riferimenti. Primo e fondamentale di questi aspetti deve considerarsi il referenziale che si crea, inizialmente, con riferimento all’ambiente circostante.
La parola Kiwi, per esempio, risale all’onomatopea Maori kiwi che identificava tale uccello per il suono che emette. Per la parvenza simile all’animale il frutto dell’actinidia (Actinia chinesis), coltivato originariamente nella Nuova Zelanda, ne assunse il nome.
Il secondo aspetto inerente alla parola è definibile culturale e si fonda sulle opinioni, credenze, usi, costumi e consuetudini comportamentali di diversa tradizione che la lingua conserva e tramanda alle nuove generazioni. Nella seguente espressione appare, per esempio, l’influenza culturale della lingua tedesca sul francese a dimostrazione dell’origine germanica del Franchi:
On parle Français
L’espressione francese rappresenta infatti un calco dal tedesco.
Man spricht Deutsch.
Il tedesco Man (uomo) è stato sostituito dal corrispondente medioevale on, dal latino Homo (uomo).
Altro aspetto di grande rilevanza sociale può considerarsi il valore simbolico attribuibile culturalmente alla parola. Un pezzo di stoffa variamente colorato può trasformarsi in una bandiera e produrre svariati comportamenti indotti culturalmente.
Si consideri ora nella sua evoluzione storica la parola latina Pontifex, da cui l’italiano Pontefice. Nella Roma repubblicana un Collegium composto da quindici sacerdoti (pontifices) era incaricato del culto delle varie divinità romane. Capo del collegio, assistito dai Flamini e dalle Vestali, era il Pontifex Maximus, suprema autorità religiosa incaricata delle celebrazioni rituali stabilite dallo jus divinum.
A Roma il Pons Sublicius sul Tevere, costruito in legno probabilmente sul posto di un antico guado, aveva assunto un elevato valore simbolico convalidato dalla leggenda dell’eroe romano Orazio Coclite che nel VI secolo a.C. si oppose a difesa del ponte per impedire l’avanzata dell’esercito etrusco del re Porsenna. Smantellando il ponte fu possibile salvare la città dall’invasione nemica.
Sul Pons Sublicius, luogo sacro per la cultura romana, si celebrava ogni anno, alle Idi di maggio, il rito degli Argei mediante una processione condotta dal Pontefice Massimo accompagnato da uno stuolo di Flamini e di Vestali.
Compito delle Vestali era di gettare nel Tevere ventisette fantocci di vimini intrecciati, mani e piedi legati, denominati appunto Argei, indubbiamente a ricordo di precedenti sacrifici umani tendenti a propiziarsi il favore degli Dei.
Nel tempo il valore simbolico del ponte si trasformò in un valore sacrale e il Pontefice Massimo ne assunse pertanto la responsabilità. Con pontefice deve intendersi linguisticamente un costruttore di ponti e nel caso specifico un restauratore in quanto il Ponte Sublicio, costruito con materiale ligneo, era deperibile nel tempo. Competenza attribuita al Pontifex e confermata storicamente in vari scritti di diversi autori latini fra i quali M. T. Varrone (116-27 a.C.) nel suo trattato De Lingua Latina (Libro V).
Per comprendere il rapporto esistente tra politica e religione è utile rammentare il compito dei sacerdoti denominati Flamini. Sottoposti all’autorità del Pontefice Massimo e considerati Flamines Divorum, ossia sacerdoti degli Dei, avevano il compito di spiegare alle varie popolazioni sottomesse la discendenza divina degli Imperatori romani. L’incarico di Pontefice Massimo, nominato a vita, venne assunto, dopo la caduta della repubblica, dagli stessi imperatori romani e il primo a fregiarsi del titolo di Pontifex Maximus fu l’imperatore Gaius Julius Caesar Octavianus (63 a.C.-14 d.C.) che riunì così nelle proprie mani il potere politico e il potere religioso.
Dal V secolo della nostra era la designazione di Pontefice venne ristretta al potere ecclesiale. Primo pontefice in tal senso fu Leone I Magno (440/461), papa che, in uno storico incontro nell’anno 452 presso Piacenza con il re unno Attila, seppe convincerlo a rinunciare al saccheggio di Roma facendo presente, probabilmente, come il re visigoto Alarico che saccheggiò Roma nel 410 fosse poi morto improvvisamente nello stesso anno per una misteriosa malattia.
Per la comprensione del valore culturale della parola ponte occorre rammentare come il naturale traghettamento di un fiume, ossia il passaggio da una riva all’altra, si sia trasformato in diverse culture nel passaggio simbolico dalla terra al cielo, dall’umano al divino, dalla morte terrena alla vita eterna. Nella tradizione iraniana si sosteneva che attraversare il ponte Chinvat, il Ponte del Giudizio che nella concezione zoroastriana separa il mondo dei vivi da quello dei morti. Un’impresa assai rischiosa per pochi eletti.
Dopo l’aspetto culturale inerente alla parola ponte è utile comprenderne pure l’evoluzione storica. In latino pons (ponte) e pěs (piede) hanno la stessa origine e in sanscrito il ‘camminare’,(pathati), comporta la formazione di un sentiero (patha), designante la via da percorrere. Anche in greco si constata lo stesso ampliamento semantico tra poús (piede) e pátos (via).
Isidoro di Siviglia (560-636) nelle sue Etimologie (Libro VII, Cap. XII, Par. 13) definisce il Pontefice, principe, ossia il ‘primo’ tra i sacerdoti il cui compito era di segnare la ‘via’ da seguire. Così si esprimeva nel VI secolo la cultura del tempo ostentandone l’aspetto simbolico.
Pontifex princeps sacerdotum est, quiasi via sequientium
…ipse quod unusquisque facere debeat ostendit.
Ed è così che il ponte, costruito con diverso materiale, ha assunto un proprio valore simbolico: un tramite che permette di raggiungere, dopo la morte terrena, la beatitudine celeste. Garante di una tale ascesa il Pontefice di turno.
Quale correlazione esiste tra La Guerra dei Trent’anni, un croato e una cravatta?
Ambizioni politiche e tensioni religiose furono alla base delle ostilità belliche che condussero alla guerra dei trent’anni (1618-1648) conclusasi il 24 Ottobre 1648 con la Pace di Westfalia. I turbamenti sociali che caratterizzarono tale periodo erano dovuti all’intransigenza religiosa di Ferdinando II, (1578-1637), imperatore del Sacro Romano Impero, fervente cattolico educato dal 1590 al 1595 presso l’Università di Ingolstadt sotto influenza gesuita.
Giunto al potere nel 1596 condusse una rigorosa politica di oppressione contro il Protestantesimo convinto che per una duratura stabilità politica e conseguente benessere sociale fosse necessario imporre la religione cattolica come fede unica.
Il 23 Maggio 1618 con la famosa defenestrazione di Praga ebbero inizio le violenze tra cattolici e protestanti che produssero devastazioni nell’intera Europa. Un gruppo di nobili protestanti entrò nel castello di Praga e gettò dalla finestra due funzionari imperiali del governo di Boemia, Jaroslav Borita e Vilém Slavata ed un copista. I tre malcapitati scamparono alla morte poiché ebbero la fortuna, per così dire, di cadere su un mucchio di sterco. L’interpretazione cattolica ne nobilitò l’evento asserendo un diretto intervento della Vergine Maria.
L’opposizione bellica tra Francia e Austria si stabilizzò a Rocroi nelle Ardenne il 19 Maggio 1643 dove l’esercito francese sotto il comando del Principe di Condé ebbe la meglio sull’esercito spagnolo. L’azione strategica che determinò la vittoria fu il repentino accerchiamento dell’esercito nemico da parte della cavalleria francese che portò scompiglio e sbandamento nelle file nemiche. Tale azione militare congiunta ai capricci della moda introdusse in Francia, per poi estendersi a tutta l’Europa, l’uso della cravatta.
Occorre rammentare che negli eserciti del tempo vi erano inserite anche unità di mercenari e un contingente di cavalieri croati faceva parte della cavalleria francese. Il cavaliere croato era solito portare una sciarpa di lino variamente colorata (in serbo hrvat) e la parola francese che ne derivò cravate venne a identificare con la stessa parola il cavaliere e l’indumento. In seguito, dal 1650 in poi, per entusiasmo patriottico e capriccio di moda l’uso della cravatta si diffuse in tutta l’Europa. La stessa designazione appare infatti nel tedesco Kravatte, nello spagnolo Corbata, nel portoghese Gravata, nello svedese Kravatt e nel turco Kravat a dimostrazione degli effetti contagiosi dei capricci della moda. In russo però la cravatta è definita галстук (galstuk), trascrizione della parola tedesca Halstuch (sciarpa), composta da Hals (collo) e Tuch (pezzo di stoffa). Una diversificazione linguistica con riferimento allo stesso oggetto createsi per diverse condizioni culturali.
Riconoscendo il valore non solamente linguistico, ma pure culturale insito nelle varie parole d’uso comune, aiuta a comprendere il nostro passato ed a spiegare, in maniera intelligente, la complessità del nostro presente.
Quale correlazione esiste tra un pianto, un applauso ed una piaga?
Il versar lacrime si è sempre dimostrato un efficace espediente femminile di comunicazione, in silenzio o con grida: dipende dalla cultura del momento. Il latino plangěre, per esempio, da cui l’italiano piangere, implicava una maggiore partecipazione emotiva dimostrabile non solamente con lamenti ed alte grida, ma battendosi il petto e graffiandosi le guance.
Nella cultura romana la plāga era considerata un efficace mezzo pedagogico, dimostrazione che appare nella seguente citazione:
Verbera et plāgas repraesentare
in cui si sosteneva che le punizioni corporali, per la migliore rettitudine del discente, potevano essere inflitte sia per mezzo di una correggia (verber) o nei casi più difficili e resistenti anche il battere mediante da un bastone (plāga).
Già in latino con il passaggio semantico dalla causa all’effetto con plāga s’intendeva pure la ferita causata dal colpo inferto. La stessa parola appare in italiano come piaga.
L’italiano plaudire, voce dotta dal latino plauděre, stessa origine di plaga con prefisso rafforzativo ad- si è trasformato nell’italiano applaudire dove si evidenzia il valore semantico del battere. La seguente citazione latina
Manus in plaudendo consuměre
corrisponde alla locuzione italiana del battere le mani fino a ‘spellarle’.
Il sostantivo latino plausus indicava concretamente lo sbattimento delle ali di un uccello al momento della sua presa, parola che si ritrova in italiano come plauso per esprimere
simbolicamente la propria approvazione.
Le delucidazioni che precedono dimostrano quanto la significazione della singola parola dipenda dalla cultura dominante in un determinato periodo storico. Nel riconoscerne i percorsi storici si comprenderà meglio la variabilità culturale il nostro presente.
Quale correlazione esiste tra la cosmesi, il censo e un carme?
La cosmesi, parola di origine greca, a fondamento del sapere femminile, è definita nel lessico italiano come:
Arte che cura la conservazione della freschezza della pelle e della bellezza del corpo
L’origine della parola risale al greco κóσµος (cosmos) designante nella complessità del mondo greco, la divina manifestazione di un ordine superiore. Il significato moderno della parola cosmesi avviene mediante l’ampliamento semantico della parola che trasforma l’ordine cosmico in armonia per poi manifestarsi nella bellezza della femminilità.
La stessa consistenza semantica designante un giusto ‘ordine’ appare pure nella parola latina census. Già nella Roma antica rappresentava la registrazione dei cittadini e dei loro averi per poi trarne, da questo ordine, un sostanzioso profitto fiscale.
Anche nel latino carmen, da cui l’italiano carme, si designava un ordine nella recitazione poetica nel rivolgersi alla divinità e come tale impregnato di magica efficacia. Nel proferire una formula magica alla propria divinità era necessario, pena la sua inefficacia, pronunciare rettamente le parole nell’ordine prestabilito di forma e di contenuto.
Le parole variano nel corso dei secoli la loro significazione in quanto in ogni cultura esistono varie e contrastanti credenze, consuetudini, pregiudizi, opinioni ed ideologie in grado di influenzare il comportamento verbale del singolo. Ed è così che nel tempo appaiono nuove significazioni culturali che caratterizzano le parole nel loro lungo percorso evolutivo.
L’essere umano interagisce socialmente secondo i dettami della propria cultura, convinto di agire sempre nel migliore dei modi. Ma vivendo culturalmente la propria esistenza senza dubbio alcuno e ritenendosi per pura vanagloria la specie animale più intelligente dell’intero pianeta dimostra sovente, nel dire come nel fare, tutti i propri limiti umani.
Quale correlazione esiste tra il sapere, il sale e un salario?
La parola sale risale ad una radice indoeuropea *sal- che in greco antico aveva come riferimento, oltre al sale, anche il mare. Nelle lingue moderne la stessa parola appare nel tedesco Salz, nell’olandese Zout, nell’inglese Salt, nello spagnolo Sal e nel russo Соль.
L’importanza del sale come valore economico è evidente nell’italiano salario, una paga che in altri tempi veniva elargita mediante precise quantità di sale. Il valore simbolico del sale appare chiaramente nella locuzione proverbiale latina:
Cum grano salis
nell’asserire l’importanza di avere un minimo di intelligenza per il proprio agire umano. La stessa convinzione trova conferma pure nello spagnolo:
Muy poca sal en la mollera
dove l’agire sconsideratamente dimostra mancanza di sale nella propria ‘zucca’.
Altra diversa consistenza socio-linguistica appare nella locuzione inglese:
To be above the salt
con riferimento al posto occupato dai convitati in una tavolata. Essere ‘sopra’ alla saliera posta al centro del tavolo dimostrava in questi convitati un superiore rango sociale. In caso contrario, trovarsi quindi ‘sotto’ la saliera, ossia below the salt, di appartenere, per diversa fortuna, ad un rango inferiore. Il sale della saliere a dimostrazione di un invalicabile confine d’ordine sociale.
In latino esistevano altri due verbi appartenenti allo stesso campo semantico, scire e sapěre. Il primo indicava la conoscenza come facoltà dell’intelletto umano mentre il significato del secondo era ristretto al gusto di ciò che si magia e si beve, un sapere limitato al sapore del proprio cibo quotidiano.
Dal verbo scire appare in italiano, per tradizione classica, lo scibile, mentre il verbo sapěre dimostra la propensione del genere umano a giudicare le cose più in base alle esigenze della propria pancia piuttosto da quelle della propria testa. La riabilitazione culturale di tale verbo appare però nell’odierno sapere. E il verbo scire di classica reminiscenza, tramite la Scienza, propone alla moltitudine del presente altre varie soddisfazioni, ben diverse da quelle puramente culinarie.
Quale correlazione esiste tra la lettura, l’intelligenza ed una legione romana?
Nella comune esperienza quotidiana si constata come il dono dell’intelligenza non sia stato elargito da madre natura, in ugual misura, a tutti gli uomini. Mentre con intelletto si esprime la facoltà umana di scoprire, di immaginare e di concepire con riferimento alle comuni attività umane, l’intelligenza designa la possibilità di poter scegliere oculatamente, ossia di avere un singolare comportamento razionalmente adeguato alla situazione del momento.
La parola intelligenza deriva infatti dal latino intellĕgentĭa, composta dal prefisso inter-(tra) e da una voce del verbo legĕre (cogliere) per esprimere una ‘scelta’. Un saper cogliere nell’ambito della propria cultura tra diverse possibilità comportamentali.
Il verbo latino legĕre rappresentava, nella cultura romana, l’azione di raccogliere concretamente qualcosa, per esempio, le mele da un albero:
Legĕre mala ex arbore
In astratto esprimeva la capacità si saper cogliere, in un colpo d’occhio, le varie lettere che compongono uno scritto, una scelta tendente alla comprensione del testo. In italiano legĕre si è mantenuto in questa ultima accezione trasformandosi in leggere.
Sulla stessa base linguistica di legĕre, nell’antica Roma, si definiva una legione romana, un insieme di uomini ‘scelti’ per proprie attitudini militari.
A differenza del linguaggio matematico che rappresenta valori univoci, il linguaggio umano utilizza parole con significati linguistici dovuti a soggettive esperienze e significazioni culturali causate da oggettive diversità culturali. In tal modo si creano singolari espressioni di opinioni, pregiudizi e credenze definibili nella loro complessa consistenza: idioletti. La retta comprensione della variabilità idiolettica è essenziale per una migliore comunicazione interpersonale.
Quale correlazione esiste tra Cristo, un Cristiano e un Cretino?
La pratica dell’unzione che risale ai primordi della storia umana consisteva nel spalmare, il corpo e le armi, della persona di vari unguenti con la convinzione di poter generare nuovo vigore. La consacrazione era riservata a re, profeti e sacerdoti a conferma del loro rango sociale e la parola italiana Messia, dall’ebraico Maschiah, ossia ‘unto’, ne attesta l’antichità.
Nella cultura greca la persona ‘unta’ era riconosciuta come χριστóς (khristos) parola che appare in latino come Christus. E con cristiano si indica appunto la persona che professa la religione cristiana e ne applica i principi ispirandosi all’insegnamento di Gesù Cristo.
La parola cretino indica, nella terminologia medica, un bambino affetto da particolare arretratezza intellettuale. L’origine della parola è da ricercarsi nel francese dialettale crétin (stessa origine del termine chrétien, cristiano) che dal 1750 indica in Francia un soggetto affetto da cretinismo. Sindrome causata da un’alimentazione carente di iodio, fenomeno endemico tipico in alcune regioni montagnose del Vallese (regione in cui appare tale accezione della parola crétin) con estensione geografiche dalla Svizzera ai Pirenei.
Riconosciuta l’origine della malattia rimane però la curiosità di comprendere la causa che ha determinato per cristiano e cretino una tale diversità di significazione. In espressioni popolari come povero cristo e povero diavolo con riferimento alla stessa persona si manifesta una naturale empatia verso il cretino che per quanto diverso deve essere, pur sempre, considerato un essere umano, ossia un cristiano.
Per la migliore comprensione del quotidiano comportamento verbale dell’essere umano umano è necessario poter distinguere il valore linguistico della parola nella sua forma di significato, invariabile nel tempo, dal valore culturale attribuibile alla stessa parola, la significazione, mutabile nel tempo e nello spazio. L’italiano amore, per esempio, deriva dalla parola latina amor e questa sua origine rimarrà costante anche nei secoli futuri, ma la sua significazione, al contrario, potrà mutare oggettivamente, per diversità culturali e, soggettivamente, per diversità di esperienze. Si potrà parlare di un amore materno diverso dall’amore di coppia o di un amore venale assai diverso dall’amore per il prossimo.
Nella cultura popolare appaiono sovente opinioni e credenze che testimoniano comportamenti sociali assai più emotivi che razionali attribuendo alla stessa parola diverse significazioni promosse da particolari interessi di parte.
Quale correlazione esiste tra un idioma, un idioletto e un idiota?
Nella Grecia antica la parola ἲδιος esprimeva l’idea del ‘particolare’ con estensione semantica a ciò che è proprio, in opposizione a quanto era da considerarsi pubblico. L’etimo della parola, risalente al sanscrito, definiva infatti un qualcosa di separato come manifestazione del privato.
Nella cultura greca era presente la consapevolezza che non tutti gli uomini, pur vivendo la propria esistenza democraticamente, siano da considerasi del tutto uguali. Si distingueva, pertanto, la superiore condizione dell’aristocratico dal comune cittadino, uno specialista nei confronti del non specialista.
Nella parola latina magister, per esempio, appariva evidente la superiorità di chi presiedeva, di chi essendo magis possedeva qualcosa in più differenziandosi socialmente dai comuni cittadini, definibili linguisticamente idioti. Nella cultura latina la parola idiota esprimeva una condizione sociale di subordine, designante propriamente l’inesperto in arte.
Per definire un’abitudine linguistica di una particolare regione geografica, in opposizione quindi alla lingua nazionale, nel 1948 si crea in inglese la parola idiolect composto dalla forma verbale idio- e suffisso -lect dal greco διᾱλεκτοσ designante un particolare colloquiare.
Dall’inglese il termine si espande poi in altre lingue: dal francese idiolecte all’italiano idioletto, dal tedesco Idiolekt allo spagnolo ideolecto.
Le cause che concorrono alla singolare formazione dell’idioletto sono molteplici: dall’ambiente in cui l’uomo trascorre la propria esistenza alla cultura dominante.
In generale ogni idioletto presenta personali carenze per quanto concerne il significato linguistico della parola con particolari significazioni culturali dipendenti della cultura dominante al momento. Una soggettiva espressione verbale limitata nel tempo e nello spazio.
Quale correlazione esiste tra una stanza, una statua e uno stendardo?
L’idea alla base di queste tre parole è la collocazione, cioè uno stare come condizione della propria esistenza. E con stanza se ne rappresenta pure la funzione: per esempio, il dormire in una stanza da letto. Altro particolare significato appare nel traslato stanza da intendersi come strofa di una canzone consistente in una unità di due o più versi.
Anche una statua manifesta un tutto ben definito, stabile nel tempo e nello spazio. Da un informe blocco di marmo per la creatività di un Michelangelo emerge un Davide di un’affascinante bellezza.
Per comprendere il significato di Stendardo occorre sapere che in questo termine sono racchiuse diverse valenze, oltre a quelle linguistiche e culturali, altamente simboliche che si manifestano in parole come vessillo o labaro di romana memoria e in periodi più recenti nei vari gagliardetti e bandiere.
La parola Stendardo giunge in Italia verso il 1320 dal francese étendard che nella Chanson de Roland del 1080, storia delle gesta di eroici paladini, appare come estandart. In questa epopea si raccontava come Carlo Magno nel vedere l’Emiro, dalla lunga barba bianca e dal portamento di un Barone contornato dalle sue insegne, fosse impressionato da tanta possanza araba.
Carles li magnes, cum il vit l’amiraill
E le dragon, l’enseigne e l’estandart,
De cels d’Arabe si grant force i par….
L’origine della parola estandart risale al verbo germanico standen, connesso con lo stare ritto e dall’aggettivo hard (moderno tedesco hart) che ne indica la fermezza. Nel medioevo lo Stendardo di un esercito era fissato su di un’asta ed esposto in un’altura per dare forza e coraggio ai propri soldati.
La stessa parola standard appare in Inghilterra nel XII secolo al seguito di Guglielmo I con estensioni semantiche più complessa.
Cambiano culturalmente le lingue, varia l’espressione verbale, cambiano pure visivamente i vari oggetti, ma costanti permangono nei secoli gli stessi bellicosi comportamenti dell’essere umano promossi e sorretti da un diffuso sventolio di drappi variamente colorati.